Shylock
di Gareth Armstrong , regia Luca Valentino
Il monologo scritto da Gareth Armstrong è ispirato alla commedia “Il mercante di Venezia” che William Shakespeare scrisse nel 1597 e che rappresenta una delle manifestazioni più riuscite del genere verso un lirismo più sofferto e cosciente.
Per saperne di più
La trama
Questa, in breve, la trama della commedia.
Secondo l’ultima volontà del proprio padre, Porzia, un’ereditiera di Belmonte, deve mettere alla prova tutti coloro che desiderano sposarla. Il nobile Bassanio vuole sfidare la sorte, pur non avendo denaro a disposizione, così chiede all’amico Antonio, mercante a Venezia, tremila ducati per corteggiare degnamente la ricca Porzia. Antonio, a sua volta, chiede un prestito all’ebreo Shylock, che pretende in garanzia una libbra della sua carne, nel caso in cui Antonio non rispettasse i termini di pagamento. Bassanio ottiene la mano di Porzia superando una prova stabilita dal padre di lei.
Intanto Jessica, figlia di Shylock, è fuggita con un cristiano, Lorenzo, sottraendo denaro e gioielli al padre. Questo manda su tutte le furie Shylock che, nell’apprendere che le navi di Antonio hanno fatto naufragio e non ha di che pagare il debito contratto, pretende la sua libbra di carne. La causa finisce in tribunale.
Tubal, amico ebreo di Shylock, inviato da quest’ultimo a cercare Jessica e le ricchezze rubate, torna a mani vuote, ma rivela che Jessica sta sperperando il denaro del padre e che ha barattato il suo anello di fidanzamento con una scimmia.
Porzia, venuta a sapere in quali guai si trova Antonio, amico di Bassanio, ora suo marito, si traveste da avvocato e perora la sua causa davanti al doge, dimostrando che Shylock ha diritto alla carne perché era nei patti, ma per ottenerla non deve versare neppure una goccia del sangue di Antonio; anzi, deve essere punito con la morte per aver attentato alla vita di un veneziano. Il doge grazia Shylock ma confisca i suoi beni, che saranno divisi tra Antonio e lo stato veneziano. Antonio rinuncia alla sua parte a condizione che Shylock si faccia cristiano e leghi i suoi beni a Lorenzo e a Jessica.
Colmo di allegria, Bassanio ricompensa “l’avvocato”, sotto le vesti del quale non ha ancora riconosciuto Porzia, con l’anello che l’amata gli aveva donato e dal quale egli aveva giurato di non separarsi mai. Porzia, allora, rivela la sua identità e accetta l’atto di Bassanio con la promessa di felicità.
Cenni storici e drammaturgici
La prima edizione a stampa de ‘Il mercante di Venezia’ di William Shakespeare è databile con certezza all’anno 1600; l’opera fu consegnata alla corporazione dei librai (nel cui registro doveva essere annotato ogni libro destinato alla pubblicazione) il 22 luglio 1598. Nel XII secolo, dopo l’invasione normanna dell’Inghilterra, gli ebrei avevano avuto un ruolo importante, in qualità di banchieri, nella vita economica inglese; in quel secolo, dunque, è possibile che l’ostilità degli inglesi verso gli ebrei avesse anche motivazioni di ordine economico. Dopo il 1290, invece, poiché in Inghilterra non esistevano più ebrei reali, in carne ed ossa, l’odio verso di essi era di natura esclusivamente religiosa. Il pubblico dell’età elisabettiana, dunque, era perfettamente preparato e psicologicamente disponibile ad assistere ad un’opera teatrale in cui gli ebrei fossero descritti come dei sadici e perversi criminali (…).
Il primo grande tragediografo inglese a portare sulla scena la figura di un ebreo fu Christopher Marlowe, col suo dramma “l’ebreo di Malta”, del 1589 (…). Shakespeare, sicuramente, conosceva “l’Ebreo di Malta” di Marlowe ed ha tratto spunto da esso (…). La figura di Shylock, tuttavia, non risulta particolarmente odiosa; egli è solo un personaggio ridicolo, farsesco, che suscita ilarità, non ostilità, nel cuore dello spettatore. Il 14 febbraio 1741, a Londra, Charles Macklin rivoluzionò la messa in scena del Mercante, trasformandola in un’opera prevalentemente drammatica che, al proprio centro, veniva ad avere l’affare della libbra di carne, e non più la questione degli scrigni e del matrimonio di Porzia. Quanto a Shylock, Macklin lo trasformò in una specie di mostro, di criminale assetato di sangue, senz’altro più simile al Barabba marlowiano che al personaggio farsesco che era stato per tutto il ‘600.
Una nuova svolta si ebbe all’inizio dell’800, grazie a Edmund Kean, il primo (nel 1814) a presentare un’immagine più problematica e complessa di Shylock, vittima non meno che colpevole (…). Non v’è dubbio, che Shylock sia una vittima (…) tuttavia, nel momento in cui cede alla tentazione di richiedere la vita di Antonio come pegno per il suo prestito, e allorché insiste nell’esigere la ‘sua’ libbra di carne, in modo altrettanto inconfutabile ci appare come un colpevole, per non dire un criminale.
Per capire questa duplice caratterizzazione di Shylock, però, è fondamentale in primo luogo osservare che per Shakespeare l’ebreo non è affatto un demonio incarnato, capace solo di concepire malvagità e di compiere delitti. Come emerge dai celebri versi della Scena 1 dell’Atto III, l’ebreo è, per l’autore del Mercante, un essere umano come tutti gli altri, capace come loro di soffrire, di amare e di ridere.
Tratto da: FRANCESCO MARIA FELTRI, “TEATRO-STORIE-MEMORIA, SPUNTI TEATRALI PER UNA RIFLESSIONE SULL’ANTISEMITISMO”, Comune di Carpi, Museo del deportato
Note del regista
La prima volta che vidi “Shylock” al festival di Edimburgo nel 1998 ne rimasi completamente affascinato: ciò che mi colpì in Gareth Armstrong – attore/autore secondo la migliore tradizione teatrale – fu la forza comunicativa della sua interpretazione del testo shakespeariano. Tutti conoscono la storia de “Il mercante di Venezia”, ma Armstrong ne ha saputo estrarre un pamphlet intelligente che in un’ora e mezza ripercorre la storia degli Ebrei (da Mosé a Barbara Streisand) e insieme del teatro europeo, senza mai annoiare, senza mai sfoggio di erudizione, ma anzi con la straordinaria capacità di riproporre in chiave ironica anche le pagine più buie della storia dell’umanità – come l’Olocausto, mai citato ma sempre presente.
“Shylock” è un grande cabaret, con un attore pronto a calarsi in più di trenta personaggi con virtuosismo camaleontico, e al tempo stesso teatro “politico” capace di trasformare un mito in una riflessione sul presente, con una forza e un’universalità che stanno ricevendo continue conferme non solo sui palcoscenici del mondo anglosassone, ma anche su quelli di lingua spagnola nell’edizione ispano-catalana – interpretata da Manel Barcelò e da me diretta – vincitrice dei premio città di Barcellona 2000.
In Italia molte persone hanno creduto e lavorato a questo progetto: complici le Università di Venezia e di Milano, alcuni gruppi di studenti hanno fatto ricerche storiche, letterarie, teatrali, iconografiche; hanno tradotto e adattato il testo, pensato ad una scenografia, promosso convegni e prove aperte.
Con la supervisione di Maggie Rose per la traduzione e di Sonia Antinori per l’adattamento, hanno lavorato per rendere ancora più immediatamente “mediterranei” il testo originale e le citazioni shakespeariane, per aggiungere ricordi che suonassero immediatamente familiari al nostro pubblico. Stimolati da Lucio Diana hanno immaginato una “0” di legno sospesa su una limacciosa laguna veneziana, con luci cangianti a suggerire lo splendore dell’oro e la violenza delle sopraffazioni – spesso strettamente intrecciati.
Eugenio Allegri ha accettato ancora una volta la sfida del monologo, utilizzando tutti i materiali e gli stimoli del testo e dell’allestimento per gettarsi con coraggio in questa avventura nella Storia. Che è poi la storia delle diversità, in cui tutti – per un motivo o per l’altro – possiamo riconoscerci. Nella nostra odierna interpretazione, l’ebreo Shylock – e ancor più il suo alter-ego/narratore, Tubal – diventano incarnazioni di tutte le differenze, di tutte le minoranze che per qualche motivo sono state discriminate e maltrattate.
E nella loro richiesta di giustizia e di dignità – con la forza della ragione e nell’invenzione quotidiana e millenaria del teatro – sta la forza poetica dello spettacolo.
Luca Valentino, regista Shylock
Appunti del protagonista
Non è stato facile accettare la sfida di “Shylock”.
Quando Luca Valentino, regista, nella primavera del ’99 mi propose di essere l’alter ego italiano di Gareth Armstrong per lo spettacolo che lui avrebbe diretto, ne fui lusingato; le notizie che giungevano dall’ultima edizione del Festival di Edimburgo, dove Armstrong aveva debuttato, riferivano di uno spettacolo-evento, di un attore straordinario, autore per altro di un testo colto, profondo, denso di spunti per il lavoro teatrale.
Luca aveva poi previsto un progetto complementare al nostro allestimento che avrebbe coinvolto un gruppo di studenti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nel lavoro di preparazione: sarebbero stati organizzati laboratori di traduzione, di adattamento e di scenografia diretti rispettivamente dalla professoressa Maggie Rose, dalla drammaturga Sonia Antinori e dallo scenografo Lucio Diana. Il tutto teso a realizzare un’edizione italiana di “Shylock” davvero originale, pertinente e misurata al rapporto esistente tra teatro e società nel nostro paese.
Dunque, perché mai non accettare la sfida di “Shylock”? Quali dubbi avanzare di fronte a tanta dimostrazione di forza e ad altrettanta convincente ideazione? Quali rischi temere?
Tra la selva di pensieri due riflessioni si facevano largo con particolare forza. La prima era che “Shylock” sarebbe stato per me il terzo monologo. Non che il monologo sia una forma di teatro minore, come qualcuno potrebbe pensare, dunque meno longeva.
Il problema nel caso dello “Shylock” di Gareth Armstrong, sarebbe stato quello di affrontare alcuni passaggi del testo che sono vero e proprio teatro di cabaret, che poi si alternano rapidamente ad altri di taglio storico-documentaristico e alla citazione letteraria, per poi arrivare infine, in una traduzione peraltro tutta nuova, all’appuntamento immancabile con il verso di Shakespeare. Insomma una differenza nel mio stare in scena con tutte le conseguenti difficoltà rispetto a “Novecento” e “Cirano”, i due monologhi con i quali mi sono presentato al pubblico italiano fino ad oggi.
L’altra riflessione riguardava gli stessi temi dell’opera: ovvero il contrasto tra cristiani ed ebrei e la difesa dell’usuraio ebreo in quanto vittima della discriminazione religiosa, dell’odio razziale, della vendetta conseguente la sua inaccettabile diversità culturale e politica: insomma, Shylock, usuraio ebreo, vittima dell’intolleranza religiosa.
In che modo aderire al personaggio Shylock? Come identificarvici, considerato il fatto ad esempio che io non sono ebreo?
Capiamoci, il testo di Armstrong tratta il tema storico della discriminazione antiebraica da parte del potere politico e religioso cristiano utilizzando e alternando dolore e ilarità, tragico e comico, densità e leggerezza sostenuto da quell’autoironia tipica della cultura ebraica ed anglosassone cui Shylock, Tubal, Shakespeare ed egli stesso appartengono di diritto. Armstrong del resto vive in un paese, l’Inghilterra che esprime uno dei vertici dell’idea di società cosmopolita e tollerante, e parlare di intolleranza in un paese tollerante si può fare. Ma io, dico? Io, dico, vivo in Italia.
E scusate: come si può parlare di intolleranza liberamente e onestamente oggi in Italia?
Be, sì, certo, si può fare, non v’è dubbio; ma tanto liberamente che a nessuno o quasi gliene importa nulla, e tanto onestamente che la maggioranza ci ride su. Ammettiamo tuttavia che vi si riesca allora: a quali cittadini rivolgersi, in un paese a maggioranza cattolica se, mentre la Chiesa tenta di riproporre con forza all’attenzione di tutti alcuni grandi principi, quali la povertà, la solidarietà, la carità, la tolleranza, si sa che la gran parte dei credenti non rispetta neppure i sacramenti e i comandamenti fondamentali in materia di indissolubilità del matrimonio, fedeltà, contraccezione, profitto, usura, e in casi estremi violenza e omicidio?
Trovati comunque degli interlocutori anche laici, allora: in quali grandi speculazioni etiche o culturali o appunto politico-religiose mai addentrarsi se le uniche veramente ammesse all’attenzione di capi famiglia d’assalto o single sgommanti sono quelle di tipo finanziario o d’azzardo clientelare o lottomatiche?
Catturata infine l’attenzione di qualche benpensante, allora: che diritto ha un attore di parlare ad un vasto pubblico se pretende di utilizzare soltanto il suo far teatro per esprimere opinioni e non si presenta piuttosto in televisione là dove si può far tremare la gente con spettacoli-shock o a dibattiti politici per urlatori oppure non scrive prima un libro di scemenze pornofilosofiche che così poi lo ascoltano di più?
E allora e insomma: perché io dovrei per forza, facendo teatro, accettare la sfida di “Shylock” se ciò che voglio davvero è richiamare l’attenzione di tanti su temi legati all’intolleranza quali la diffidenza, l’ipocrisia, l’indifferenza e il dominio nella società compresa quella in cui vivo?
Fare teatro è cosa semplice o difficile, come qualsiasi altro lavoro; è atto responsabile che può esprimersi con gioia o con tristezza; si fa a volte con fatica a volte no; può procurare negli altri noia o curiosità.
La sua funzione principale è comunque quella di mettere in comunicazione tra di loro gli uomini e le donne appartenenti a una comunità in una forma che non esiterei a definire di cerimonia laica, civile e politica.
Ogni uomo di teatro, pur coadiuvato nel suo lavoro dallo studio e dalla ricerca, decide di affrontare determinati argomenti, determinati testi in base alla propria sensibilità. Accade spesso di non individuare il tema di maggior interesse, accade altrettanto spesso di non riuscire ad essere buon interprete del proprio tempo, in una parola testimone, con la propria opera, della società cui si appartiene: accade poi di mettersi lì a raccontare storie che la gente proprio non riesce a ricordare. Accade anche talvolta, nel bene come nel male, che siano la società, il tempo e le storie a muoversi verso l’attore.
Dev’essersi avverata quest’ultima ipotesi: ecco perché alla fine, ho accettato la sfida di “Shylock”.
Eugenio Allegri