La commedia dell’arte come memoria attiva del teatro
Fin dal 1983, anno in cui prendeva avvio il ciclo di Commedia dell’Arte del Tag Teatro di Venezia, una delle questioni cruciali del lavoro di quel gruppo era la questione drammaturgica. Ora, dire “drammaturgia” parlando di commedia “all’improvviso” pareva a tutti noi anacronistico ben sapendo che gran parte dell’ammirazione e della considerazione che nutrono gli attori di maschera è sempre derivata dalla abilità di pantomimi, di acrobati, di anime indiavolate, di corpi dominati dalla velocità, dalla musicalità vocale, fisica infine anche strumentale e di quel tanto altro che fa della commedia all’apparenza un puro e semplice, seppur mirabolante, gioco teatrale.
Le vicende, le storie narrate, gli intrecci, il solo sospetto di elementi di introspezione psicologica dei caratteri/personaggi maschera, apparivano ai più come elementi secondari; eppure sapevamo perfettamente, attori e registi, che non era così, che quegli elementi invece formavano l’ossatura di un canovaccio.
Oggi, dopo oltre un decennio ricco di innumerevoli esperienze di Commedia dell’Arte, quella questione rimane immutata nella sua centralità. La drammaturgia, in “commedia” resta un problema da affrontare. Certo, in uno spettacolo si può far ridere con una sola battuta e ancora si può facilmente dimostrare che, attraverso un certo gesto e un certo movimento espressivo di maschera, la “forma” si fa contenuto e può bastare così; e se poi magari vi si aggiunge un gioco di alta abilità, fisica piuttosto che vocale, si arriva a stupire il pubblico. E tuttavia questo non basta a forgiare il linguaggio nuovo che la Commedia dell’Arte può articolare in una società avanzata e complessa. Ciò che occorre è esattamente il contrario ovvero pensare ad un linguaggio e a una tecnica teatrale continuamente aggiornata e arricchita dalla poetica e dal pensiero politico e storico: questa è la ragione che hanno le maschere di continuare ad esistere nel teatro italiano. La “Commedia umana”, come la definiva Lecoq.
Il linguaggio che si articola nella cosiddetta “scrittura scenica” di un canovaccio di Commedia può contenere una gamma di stimoli i più vitali e duraturi per la creazione di una drammaturgia comica contemporanea che non sia neutrale o succuba di una ragion di stato, o di spettacolo, nazionalpopolare.
Se sono esistite le esilaranti farse di Govi, il grande teatro di Eduardo, gli irriverenti monologhi di Petrolini, le improvvisazioni geniali di Totò, sappiamo che all’origine vi è stata la Commedia dell’Arte, magari anche solo come fonte di ispirazione per una scrittura comica triturata, rianimata e reinventata. E allora, un canovaccio moderno, da buon fratello minore, può andare alla ricerca della propria origine, della propria storia, del proprio presente per ritrovare la “memoria attiva” di un discorso sul teatro e, attraverso il teatro, di un discorso sulla società. Non si tratta di un semplice atto di opportunismo o di furbizia; si tratta di reinventare l’attualità: dire battute intelligenti legate a temi chiari in cui un popolo, o anche solo un pubblico, si riconoscono perché suscitano un immaginario collettivo, storico, umano, fantastico. Insomma un teatro comico vivo e attivo nel tempo, in cui la bravura pirotecnica degli interpreti e la bellezza delle storie che essi sanno raccontare, parafrasando Moliere, apra la mente e arrivi sino al cuore degli spettatori.
Eugenio Allegri
(Torino, marzo 1994)
Hanno i poeti questa volta dato del cul, come si dice, in sul pietrone, poi che il nuovo salone sverginato stato è da Zanni per lo guiderdone, onde delle commedie hanno acquistato la gloria tutta e la riputazione: così da i Zanni vinti e superati possono ire a impiccarsi i letterati.
Anton Francesco Grazzini
detto “il Lasca”
La Commedia dell’Arte, o cosiddetta Commedia all’italiana, pone le sue origini nella stagione più bella dell’arte nazionale, quella del Rinascimento. Non c’è corta prestigiosa che, oltre ad annoverare palazzi o cortili o gallerie o teatri progettati da grandi architetti e affrescati da maestri dell’epoca, non contempli tra i suoi doveri quello del mantenimento e della protezione di una compagnia di Commedia dell’Arte.
L’arte degli attori italiani del ‘500 e del secolo successivo non è seconda a quella dei grandi poeti come il Tasso, il Machiavelli, l’Ariosto e le sale teatrali si riempiono di spettatori ammirati. Eppure la commedia, nella sua semplice forma, arriva dalla piazza, dal popolo, dalle feste che, nei paesi come nelle città, fanno incontrare brigate e maschere giocose, come già accadeva nel Medioevo.
Ebbene, è questo il segreto della forza della Commedia dell’Arte: essere straordinaria sintesi dell’arte popolare che sa usare la poesia colta.
Fare ridere e sorridere il pubblico, con un duello, un’acrobazia, una danza e raccontare storie d’amore, di potere, d’intrigo e di conquista è un dovere: perchè così si fa del teatro una giocosa festa civile.
Eugenio Allegri